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Manet, Olympia |
2 anni dopo, in ritardo come sempre. Ma io sono fatta così.
QUELL'ULTIMO SORSO DI ASSENZIO
Era un giovedì
sera, una di quelle sere che sembrano prospettarsi come tante altre; il
bicchiere colmo di assenzio era lì ad
attendermi, come di consueto, sulla rosea tovaglia del Caffè Nouvelle-Athens e
la mia mano, inevitabile vittima del colore, sfogliava pigramente le pagine de
“Le Charivari”. Riecheggiava nell’ambiente un’intensa fragranza di tabacco
puntellata dal forte aroma di caffè appena macinato che annullava l’odore dei
pigmenti ad olio di cui avevo pregne le narici. Tutto intorno a me uno snodarsi
di personaggi dal bell’aspetto e dai visi noti rompevano il silenzio del
locale. Era questo che chiamavo divertimento prima di averla conosciuta, era questo
che facevamo tutti noi artisti, quando all’imbrunire del sole ci era
impossibile continuare a dipingere. Dalle finestre scorgevo un cielo bigio che con
forti pennellate decise ingrigiva i colori sgargianti di Pigalle e prometteva
pioggia. ‹‹ Un ultimo sorso! ›› -mi dissi- ‹‹ Un ultimo sorso e si torna a casa
››. Fu proprio mentre quell’ultimo sorso di assenzio scendeva lungo la mia gola,
in quel monotono giovedì sera che la incontrai. La sua figura si materializzò
all’improvviso sul fondo del bicchiere che tenevo ancora sollevato in procinto
di bere. Un silenzio statuario accompagnò la sua entrata. Durò poco, pochissimi
attimi forse, e tutti ritornarono alle proprie occupazioni. La sua chioma
risplendeva alla luce della stanza di un castano carico di riflessi che mi
ricordavano il colore lucente del rame ed era raccolta ordinatamente da un lato
ed impreziosita, dall’altro, con un tenue fiocco rosa. Il suo incarnato ambrato
era avvolto in una veste purpurea cinta in vita che le si dispiegava lenta sui
fianchi delicati. La donna, ora lontana
dall’uscio, che nel frattempo aveva preso posto nel tavolo di fronte al mio, si
chiamava Charlene Dùbois ed aveva da tempo attirato su di sé l’attenzione dei frequentatori del Caffè. Era conosciuta da tutti come Madame Olympia; non
seppi mai da dove derivasse questo suo soprannome, molti mormoravano sul fatto che
le fosse stato attribuito da qualche scrittore o da qualche artista con cui
aveva diviso il suo letto. La sua era una bellezza atipica, nuova e al contempo
prorompente e lo sguardo sicuro e deciso
con cui i suoi occhi vitrei mi penetravano non mi lasciava altre alternative: ero ormai
vittima, prigioniero della sua ragnatela tessuta di seduzione. Madame Olympia
era consapevole dell’effetto che provocava su noi uomini e la serie di lunghi,
profondi ed interminabili sguardi bramanti che la avvolsero le fornirono una
chiara ed evidente conferma. Fattasi ormai l’ora di tornare, mentre mi alzavo
per salutare la mia compagnia abituale, il suo sguardo magnetico, seppur restando
sempre distante, si unì al mio e ne fui rapito. Pensai di offrirle da bere
prima di uscire e così, indossato il pastrano e il cappello, la scena che
ammirai con la coda dell’occhio mentre mi dirigevo verso l’uscita fu quella del
garzone che le portava un bicchiere di buon vino rosso. ‹‹ Merci, monsieur
Manet ›› - udii una voce femminile composta e delicata alle mie spalle mentre
attendevo che la carrozza partisse - ‹‹ la ringrazio per l’ottimo vino, lei
come dimostra nelle sue opere, ha davvero buon gusto ›› - aggiunse la donna con
un fare tipicamente civettuolo e malizioso. ‹‹ Sono contento che le sia
piaciuto Madame Dùrbois, il cardinal Richelieu sarebbe stato fiero di lei! ›› -
le risposi con tono scherzoso. Rivolgendo gli occhi al cielo mi accorsi che
piccole gocce iniziavano a posarsi sulla strada. ‹‹ Posso avere il piacere di
accompagnarla alla sua dimora, Madame? Credo stia per mettersi piovere e
sebbene trovo che Parigi sia più bella sotto la pioggia non voglio che troppa
bellezza le causi un malanno. ››. Mi sorrise, e presto salì e si accomodò nella
carrozza. Il rumore della pioggia che, placida, si schiantava al suolo unito
allo calpestìo ininterrotto degli zoccoli che battevano sul terreno non ci
impedirono una lieta conversazione. Charlene era una donna amabile e brillante,
risoluta e capace di discorrere abilmente in diversi ambiti in particolare
quello letterario. Mi confessò presto il suo amore per l’arte italiana, che
aveva avuto modo di ammirare a Firenze durante un breve ritiro, in particolar
modo per la bellezza velata ma al contempo ricercata della “Venere di Urbino”
di Tiziano che era stata anche oggetto dei miei studi e delle mie attenzioni. Dovetti
riconoscerlo a me stesso: ero ammaliato da quella donna così libera la cui bellezza era la sua arma più efficace; non
volevo che se ne andasse, volevo averla mia per quella notte, volevo che fosse
la mia musa, la mia ispirazione. ‹‹ Lei, mi permetta, mi ricorda molto la
Venere di Urbino, tuttavia è mio intento rappresentare nuovi canoni, nuovi
soggetti e trovo irresistibile l’idea di poterla avere come mia modella per la
realizzazione del mio prossimo dipinto. ››. Penso si sentì onorata di questo, e
tutto il groviglio di passioni in districabili che ci unì quella notte culminò
al mattino quando, distesa sullo scomposto letto che ci aveva visti complici, vestita
della sola luce che la faceva risplendere come una dea, assunse la postura
della Venere di Tiziano e posò per me. Fu mia, la mia unica musa, come avevo
desiderato. Passarono diversi mesi e
dell’avventura con Olympia non rimase che un indelebile ricordo. Decisi più
tardi, ormai sobrio dal suo incantesimo, di aggiungere altri elementi al
quadro. Quei particolari avrebbero distinto “Olympia” da quella che era la vera
Charlene Dùbois; il gatto nero ai piedi del letto rappresentava la sua essenza:
una donna che tutti bramavano ma che era uno spirito randagio che poteva essere
di tutti ma non apparteneva a nessuno,
il bouquet variopinto è un gentile omaggio alla sua intelligenza e
raffinatezza ed infine, il laccio annodato al suo collo è simbolo che è stata
mia, la mia donna, la mia musa anche per una notte sola.
Cher Monsieur Louis Leroy,
si risparmi le
sue critiche: questa è la vera storia dell’Olympia.
Edouard Manet.
Di Arianna Rubino.